La soluzione “innovativa” di Torino: Argo

Le città sono lo spazio che abitiamo, dove costruiamo le nostre comunità, dove partecipiamo a eventi pubblici e, soprattutto, dove creiamo legami tra persone per difendere e reclamare i nostri diritti. La città è lo spazio di tutti noi cittadini e cittadine. La giunta comunale di Torino e la polizia locale, però, vogliono trasformare la città in un inferno di sorveglianza. Non sarà possibile camminare liberamente e incontrare altre persone senza che un occhio elettronico sia lì a prendere nota di come siamo vestiti, quali oggetti portiamo addosso e, soprattutto, se siamo uomo o donna. 

Con il progetto ARGO infatti il comune introduce, allo scopo di “controllare la sicurezza urbana, la sicurezza integrata e la governance della mobilità,” una rete di videosorveglianza diffusa che va ad aggiungersi alle videocamere già installate in precedenza, con funzionalità quali la line crossing detection (rilevazione di superamento di una linea predefinita), la intrusion detection (rilevazione di intrusioni in una certa area), la region entrance (rilevazione dell’entrata di una persona/veicolo in una regione predefinita), la region exiting (il contrario della precedente) e la motion detection (rilevazione del movimento di una persona/veicolo). In città saranno presenti in totale 360 videocamere

Facciamo un passo indietro

Ad agosto 2020 la giunta comunale di Torino discute di un possibile finanziamento del progetto ARGO attraverso i fondi ministeriali (Interno) previsti per i comuni per l’anno 2020 (17 milioni di euro): il Comune stanzia 800.000 euro, il Ministero ne metterà 700.000. E così è stato. Con 1.500.000 euro il progetto preliminare è definito e della realizzazione se ne occuperà l’azienda 5T s.r.l., società pubblica che controlla la mobilità torinese. Le due fasi di progetto coinvolgono prima l’area periferica, nella quale confluirà anche la gestione dei sistemi di videosorveglianza realizzati nell’ambito del progetto AxTO (che favoriva già la cosiddetta “sorveglianza partecipata”), e in un secondo momento l’area centrale della città. Il progetto è reso definitivo ad ottobre 2020, momento nel quale si conferma all’azienda 5T s.r.l. l’erogazione dei soldi della prima fase di ARGO, il cui inizio è previsto per gennaio 2021. Negli ultimi giorni il consiglio comunale di Torino (Lega e M5S) ha parlato nuovamente della questione videocamere, chiedendo siano implementati ancora di più i sistemi di videosorveglianza della città: anche in questo caso si parla di zone “degradate” e di “offrire un maggiore senso di sicurezza a cittadini e cittadine.” 

Attraverso le nuove videocamere il sistema permette di identificare ogni persona in tempo reale sfruttando gli algoritmi: siamo di fronte ad un potenziale sistema di sorveglianza biometrica di massa che viene, così come nel caso di Como, definito “progetto innovativo”. Al fine di proteggere e tutelare alcune categorie di persone, l’amministrazione vorrebbe seguire costantemente una persona e prendere nota del suo aspetto, di dove si trova, dell’orario dei suoi spostamenti.

Può non conoscere direttamente il nostro nome ma può facilmente identificarci e conoscere tutti i nostri movimenti: se siamo stati in una clinica medica, se ci siamo incontrati nel parco con i nostri amici, se abbiamo organizzato un evento o siamo stati a una manifestazione.

Un occhio sulla città in tempo reale?

Il Centro Hermes ha ottenuto, grazie a diverse richieste FOIA, copia del progetto definitivo approvato dalla Giunta lo scorso 26 ottobre e diverse versioni precedenti, la prima risalente al giugno 2018

Il progetto ARGO ha l’obiettivo di integrare strumenti per il monitoraggio della mobilità e del traffico con sistemi di videosorveglianza cittadina. Nel documento del progetto definitivo si legge che il sistema sarà in grado di estrarre metadati in tempo reale dai video. Se la parola metadati può non dire molto, gli esempi indicati dalla polizia locale e dalla società 5T, incaricata di svolgere i lavori, sono invece molto chiari: “distinzione tra uomo/donna; colore di abbigliamento e scarpe; presenza di oggetti come borse, zaini, cappelli ecc.”

Con questo tipo di informazioni sarebbe possibile identificare e pedinare le persone riprese in tempo reale: un cappello, una borsa rossa o una semplice maglietta con un logo, combinati con le informazioni sul genere della persona, permettono di seguire i suoi spostamenti.   

Inoltre il sistema rischia di confondere il sesso biologico con il genere, producendo classificazioni sbagliate e discriminando tutte le persone transgender o che non si identificano nel binarismo di genere. Recenti studi hanno dimostrato come anche gli algoritmi più avanzati commettano errori: donne e uomini che presentano una corrispondenza tra la propria identità di genere e il sesso biologico (cisgender) sono rispettivamente identificate correttamente il 98.3% e il 97.6% delle volte. Nel caso di fotografie che ritraggono uomini trans, lo studio ha dimostrato che vengono erroneamente identificati come donne il 38% delle volte. Nel caso però di persone non binarie, agender, genderqueer, l’algoritmo sbaglia il 100% delle volte. Questo aspetto dovrebbe far riflettere sull’effettiva necessità del sistema di Torino di distinguere tra uomo/donna e quali conseguenze può avere.

Nel documento del progetto ARGO si legge inoltre che uno dei punti di forza è: “La data analysis in real time come modello di “un nuovo modo di fare sicurezza” basato sulle analitiche.” Un linguaggio vuoto che ritroviamo nella narrazione della smart city e che non ha nulla a che fare con il mondo dei diritti umani: siamo persone e il nostro spazio urbano non è un laboratorio di esperimenti tecnologici. 

Ma d’altronde, la valutazione d’impatto preventiva che deve essere prodotta dal comune per valutare i rischi per i diritti delle persone legati al sistema—un documento necessario quando si tratta di sistemi che raccolgono e processano questo tipo di dati—è ancora in fase di ultimazione. Sono passati almeno due anni dalla presentazione della bozza del progetto nel giugno 2018, come ha rivelato l’azienda 5T in una risposta al nostro FOIA, ma i diritti umani vengono sempre considerati per ultimi. 

La giunta ha già approvato la spesa di 1.500.000€ di cui 700.000€ finanziati dal Ministero dell’Interno, eppure non è riuscita a rendersi conto che per un sistema che permette di pedinare le persone è necessario effettuare una valutazione sui rischi per la società e per la democrazia.

Probabilmente, un motivo c’è: effettuare una corretta valutazione d’impatto dimostrerebbe che il sistema è al momento illegale e che quindi quei soldi stanziati rischiano di essere sprecati.

Come ricorda l’associazione EDRi nella sua analisi della sorveglianza biometrica, l’European Data Protection Board (EDPB)—il comitato che raccoglie i vari Garanti privacy degli stati europei—ha confermato che l’identificazione non ha bisogno di rivelare il nome o l’identità ufficiale di qualcuno, ma comprende qualsiasi trattamento che permetta di distinguere una persona da altre, e può essere ugualmente invadente. 

Nelle sue linee guida sulla videosorveglianza, l’EDPB ribadisce che se si processano dati anche biometrici per “individuare un soggetto che rientra nell’area o che entra in un’altra area, lo scopo sarebbe quindi quello di identificare in modo univoco una persona fisica, il che significa che l’operazione rientrerebbe fin dall’inizio nell’ambito di applicazione dell’articolo 9 del GDPR.

Un sistema di videosorveglianza cittadino che analizza in tempo reale e salva i dettagli delle persone riprese fa proprio questo: permette di identificare la stessa persona in luoghi diversi. Il progetto definitivo, approvato dalla Giunta di Torino, lo chiarisce senza troppi dubbi: “a partire dalla descrizione di una persona e del suo abbigliamento se ne potranno individuare la presenza e gli spostamenti nelle varie zone della città grazie alla ricerca in real time da parte degli algoritmi di analisi.”

Come ricorda il provvedimento del Garante privacy italiano sul sistema di riconoscimento facciale di Como, al momento non c’è una base legale per il trattamento di quei dati che ricadono nell’articolo 9 del GDPR da parte della polizia locale in Italia. 

Per questo motivo abbiamo inviato richiesta al Garante per la protezione dei dati personali di intervenire subito e valutare in maniera approfondita il progetto ARGO, prima che vengano sprecati inutilmente ulteriori soldi pubblici in un sistema che rischia di normalizzare una sorveglianza biometrica di massa in tempo reale. 

Lettera al Garante privacy