Il Ministero dell’Interno vuole utilizzare il riconoscimento facciale su migranti e richiedenti asilo

L’introduzione del riconoscimento facciale in Italia continua a mostrare gli stessi sintomi che denunciamo nella campagna intereuropea Reclaim Your Face: mancanza di trasparenza, assoluto disinteresse per il rispetto dei diritti umani e incapacità di ammettere che alcuni impieghi di questa tecnologia siano troppo pericolosi.  

L’ultimo episodio riguarda il Sistema Automatico Riconoscimento Immagini (SARI), acquistato dalla polizia scientifica nel 2017 e che ora, come rivela in un’inchiesta IrpiMedia, è stato oggetto di un appalto con lo scopo di potenziare il sistema e impiegarlo per monitorare le attività di sbarco. In sostanza, il ministero vuole usare il riconoscimento facciale direttamente su migranti e richiedenti asilo.  

Lo scontro Viminale-Garante della privacy sul riconoscimento facciale in tempo reale

“Per farlo, il Ministero ha usato due strategie: sfruttare i fondi europei per la Sicurezza Interna e, come mostrano alcuni documenti ottenuti da IrpiMedia grazie a una richiesta FOIA, ignorare le domande del Garante della privacy che da due anni attende di chiudere un’istruttoria proprio sul sistema di riconoscimento facciale che vuole usare la polizia,” scrive IrpiMedia.

Fra le richieste che avanziamo attraverso la campagna Reclaim Your Face chiediamo in modo urgente e deciso che il Ministero dell’Interno pubblichi tutte la valutazioni degli algoritmi utilizzati, i numeri sull’utilizzo del sistema, e tutti i dati relativi alla tipologia di volti presenti nel database usato da SARI.

Queste informazioni sono di fondamentale importanza per capire quali sono gli effetti degli algoritmi che agiscono su un database già fortemente squilibrato e discriminatorio: ricordiamo infatti che, come rivelato quasi due anni fa da Wired Italia, 8 schedati su 10 da SARI sono persone straniere. Non è però altrettanto chiaro quante di queste siano migranti e richiedenti asilo. 

In merito al trattamento biometrico e dell‘identità digitale dei migranti e dei rifugiati anche in Italia, esemplare è la ricerca sul campo realizzata nel 2019 dal ricercatore Mark Latonero in partner con CILD. L’analisi sul campo ha portato alla luce un intero ecosistema composto da ONG, Governo, ricercatori, media e settore privato che raccoglie, analizza e gestisce informazioni digitali su migranti e rifugiati per fornire loro supporto, normarli, studiarne i comportamenti. La raccolta di questi dati può portare a vari gradi di discriminazione dovute ad esistenti bias relativi alla vulnerabilità di migranti e rifugiati. Memori di questo studio, immaginiamo come possa essere pervasivo e privo di tutele un sistema di riconoscimento facciale adottato proprio su una categoria di persone specifiche. Un ulteriore livello di scrutinio che non vogliamo sia normalizzato e diventi parte della vita quotidiana di tutti noi.

Mentre le richieste di trasparenza su SARI non vengono ascoltate e persino il Garante è ancora in attesa di ricevere una valutazione di impatto sul sistema, il Ministero sfrutta anche soldi europei del Fondo Sicurezza Interna.

IrpiMedia ricostruisce così l’oggetto dell’appalto: “Il budget stanziato per il potenziamento del sistema è di 246 mila euro e il potenziamento include l’acquisto della licenza per un software di riconoscimento facciale di proprietà della società Neurotechnology, fra le produttrici più conosciute al mondo, in grado di processare il flusso video proveniente da almeno due videocamere e la gestione di una watch-list che include fino a 10 mila soggetti. Inoltre la configurazione hardware e software deve essere di ridotte dimensioni, da inserire in uno zaino e permettere di «effettuare installazioni strategiche in luoghi difficilmente accessibili con le apparecchiature in dotazione», si legge dalla scheda tecnica del Ministero.”

La sorveglianza biometrica ci disumanizza in bit di dati senza vita, privandoci della nostra autonomia e della capacità di esprimere chi siamo. Ci costringe in un sistema automatizzato e inspiegabile in cui siamo ingiustamente classificati e schedati. 

Solo il divieto della sorveglianza biometrica di massa può garantire che comunità forti, aperte e organizzate possano prosperare.