Pedinati in città

La videosorveglianza sta invadendo le nostre città da anni: quasi ogni angolo del nostro spazio urbano è monitorato costantemente dall’occhio elettronico di quelle che oramai sono diventati degli addobbi architettonici a cui non fare più attenzione.

Ma se fino ad ora le riprese delle videocamere di sorveglianza dovevano essere analizzate manualmente alla ricerca di persone sospette o per ricostruire degli eventi particolari a posteriori, con l’introduzione di sistemi di riconoscimento facciale e di analisi avanzata dei flussi video siamo di fronte alla possibilità di essere pedinati ogni istante della nostra giornata

Il caso di Mosca: se vuoi ricostruire la vita di una donna bastano 200 euro

A Mosca sono già in funzione videocamere con il riconoscimento facciale che ricoprono tutta la città, eppure l’associazione per i diritti digitali Roskomsvoboda non si aspettava di trovare un modo illegale per accedere al sistema e testare le sue capacità.

È bastato semplicemente rispondere ad un avviso su un canale Telegram dove si pubblicizzava l’accesso alle informazioni del sistema di riconoscimento facciale cittadino pagando 16,000 rubli—poco meno di 200€. L’unica altra azione richiesta: inviare una foto della persona da monitorare. Dopo due giorni Anna Kuznetsova, la persona che si è offerta di rispondere all’annuncio, ha ricevuto un messaggio con una lista di tutti gli indirizzi che aveva visitato nel mese precedente, incluse 79 foto che confermano senza dubbio la sua identità—complete di indirizzo, data e ora del momento immortalato.

Non è chiaro se si tratti di una persona esterna che ha accesso al sistema di videosorveglianza oppure un abuso del sistema da parte delle forze dell’ordine, quel che è certo è che da quelle immagini era possibile ricostruire un quadro dettagliato della vita della donna: dove abita, il luogo di lavoro, e altre abitudini di spostamento giornaliere. 

Uno strumento del genere rischia di diventare un incubo se usato da stalker, fidanzati violenti o qualunque altro malintenzionato. Per non parlare dei rischi legati alla partecipazione a manifestazioni di piazza o proteste: sarebbe possibile seguire i partecipanti e mettere in pratica ritorsioni e minacce sapendo sempre dove e quando colpire la vittima. 

Non serve nemmeno che sia riconoscimento facciale


Alla luce delle proteste per l’impiego del riconoscimento facciale e dei ban che sono stati introdotti in diverse città statunitensi—e discussi in alcuni stati—, sempre più aziende stanno cercando di creare un’altra fascia di sorveglianza biometrica, cercando di smussare gli angoli e nascondendo sotto al tappeto le parti più controverse. Come sottolinea un recente articolo dell’Electronic Frontier Foundation (EFF), le forze dell’ordine stanno andando pazze per il termine “video analytics”, ovvero l’uso di machine learning, intelligenza artificiale, e algoritmi di computer vision per estrarre informazioni dai video: il genere della persona, la presenza di oggetti particolari, e riconoscere indumenti specifici. I manuali dei venditori di queste tecnologie, analizzati da EFF, sono la guida perfetta a un mondo distopico.

Attraverso tale sistema si può individuare lo spostamento di una persona impostando semplicemente il colore dei capelli, il genere, e qualche indumento distintivo. Non si tratta di riconoscimento facciale ma il risultato sarebbe lo stesso. 

Inoltre, sottolinea EFF, usare gli algoritmi per categorizzare i corpi sulla base del genere rischia di introdurre ulteriori discriminazioni. Studi scientifici dimostrano che questi algoritmi hanno impatti negativi su tutte quelle persone che sono gender nonconforming, nonbinary, trans, e che hanno un corpo con disabilità che le fa scostare dal criterio pericoloso di “corpo normale.” 

“Tali errori di identificazione possono creare danni concreti nel mondo reale, come far partire indagini sbagliate,” spiegano da EFF.

Simile è la situazione anche in Italia: nella città di Torino il progetto di videosorveglianza ARGO, che ufficialmente avrà inizio nel gennaio 2021, prevede il riconoscimento di persone di sesso femminile o maschile e degli indumenti che indossa. Proprio per questo motivo, tra i punti della campagna Reclaim Your Face chiediamo anche che il Garante Privacy monitori le evoluzioni dei progetti di videosorveglianza nelle municipalità italiane e che, soprattutto, obblighi le città di Torino e Udine alla pubblicazione tempestiva delle valutazioni di impatto sulla privacy dei cittadini. 

Il riconoscimento facciale e la sorveglianza biometrica sono degli strumenti di oppressione dei nostri diritti. Queste tecnologie mettono in piedi la possibilità di pedinare chiunque in ogni momento della giornata. Come ricorda il Garante privacy olandese, intervenuto in una trasmissione radiofonica, con queste tecnologie “è come se qualcuno ti seguisse con una telecamera e un blocco per gli appunti, è una società di sorveglianza che non vogliamo.”



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