Siamo qui per riprenderci la faccia (e i nostri diritti!)

Oggi il Centro Hermes lancia insieme alla società civile in tutta Europa la campagna Reclaim your Face per vietare la sorveglianza di massa biometrica. Questa alleanza chiede un dibattito pubblico trasparente sui rischi individuali e collettivi, per la nostra dignità e per la società, che siamo costretti ad affrontare visti gli attuali impieghi del riconoscimento facciale negli spazi pubblici europei.

Almeno 15 paesi europei hanno sperimentato tecnologie di sorveglianza biometrica come il riconoscimento facciale negli spazi pubblici. Negli Stati Uniti, al momento 5 grandi città hanno vietato l’uso del riconoscimento facciale.

La campagna

La campagna Reclaim Your Face è spinta dal desiderio di un futuro digitalizzato, democratico e incentrato sulle persone, in cui tutti possano vivere con dignità e rispetto dei nostri diritti umani.

Il Centro Hermes si unisce a Bits of Freedom (Paesi Bassi), Iuridicum Remedium (Repubblica Ceca), SHARE Foundation (Serbia), Chaos Computer Club (Germania), Homo Digitalis (Grecia), Access Now, ARTICLE 19, EDRi e Privacy International nel chiedere trasparenza alle autorità locali, comunali e nazionali in tutta Europa sullo sviluppo, la diffusione, l’uso o i piani per l’impiego di tecnologie biometriche dannose, strumenti usati nelle nostre strade e nei nostri quartieri.

Dal momento che già alcune forze di polizia e autorità locali in diversi paesi europei stanno introducendo rapidamente e in gran segreto queste tecnologie invasive, dobbiamo assolutamente difendere uno spazio pubblico in cui i nostri diritti, le nostre libertà e le nostre comunità siano protette.

Crediamo che la conversazione debba iniziare ora, prima che sia troppo tardi. Firma la petizione e mettiti in contatto se vuoi essere coinvolto.

Contesto nazionale italiano

In Italia l’impiego di tecnologie di riconoscimento biometrico e facciale è già ampiamente diffuso su due diversi livelli: uno nazionale e uno locale. Il sistema SARI gestito dalla polizia scientifica si è dimostrato da subito controverso e coperto da un velo di segretezza estrema: interrogazioni parlamentari sull’accuratezza del sistema mai risposte e la mancanza di informazioni sui 9 milioni di volti delle persone incluse nel database hanno trasformato il sistema SARI in un buco nero. A livello locale, invece, l’esperimento distopico della città di Como è stato subito stroncato da un provvedimento del Garante privacy grazie anche ad una tempestiva inchiesta giornalistica che ha sottolineato l’importanza di maggiore trasparenza sui processi decisionali che si trovano dietro all’installazione di tecnologie di riconoscimento biometrico. Eppure altre città hanno già annunciato l’installazione di tecnologie simili, come Torino e Udine, ma del tema si discute anche all’interno degli stadi di calcio. Inoltre, il Ministero dell’Interno ha già acquistato anche un sistema di riconoscimento vocale da utilizzare sui video raccolti online.

Perché è importante

La tipologia più nota di tecnologia biometrica è il riconoscimento facciale, ma l’acquisizione biometrica può essere effettuata con molti altri tipi di dati derivati ad esempio dagli occhi (iride), dal modo di camminare (andatura), dalle orecchie, dal canale uditivo, dal DNA, dalla voce, dalle impronte digitali e da altre caratteristiche, ad esempio l’abbigliamento religioso. 

Gli spazi pubblici sono il luogo in cui condividiamo le esperienze e ci riuniamo. Dove stiamo insieme alle nostre persone care. Fare una passeggiata nel parco. Organizzare una festa con la nostra comunità. Tenere discussioni politiche. Protestare contro le ingiustizie. Tutte queste attività sono minacciate dal fatto che le autorità locali europee, le forze di polizia e le aziende private diffondono tecnologie di riconoscimento facciale che tracciano e prendono di mira la gente comune negli spazi pubblici.

Non accetteremmo mai che una persona ci segua costantemente, monitorando e valutando chi siamo, cosa facciamo, quando e dove ci muoviamo.

Non solo il nostro comportamento cambierà automaticamente perché sappiamo di essere osservati, ma rischiamo anche di essere considerati una minaccia perché l’algoritmo giudica male un gesto o un’espressione facciale. Alcuni di noi potrebbero addirittura essere considerati sospettati di un crimine per il modo in cui sono vestiti, per il colore della pelle o semplicemente per aver partecipato a una protesta. Quel che è peggio, non ci accorgiamo nemmeno di essere osservati, non sappiamo chi è che ci guarda, per quale motivo e per quanto tempo.

Il riconoscimento facciale e le altre tecnologie biometriche utilizzate negli spazi pubblici fanno di ognuno di noi un potenziale sospetto. Studi dimostrano che queste tecnologie amplificano la discriminazione e vengono utilizzate per perseguitare le persone che stanno semplicemente esercitando i propri diritti.

L’uso della tecnologia biometrica per la sorveglianza di ogni persona che abita e vive lo spazio pubblico danneggia i nostri diritti e le nostre libertà, la nostra capacità di esprimerci pienamente, di organizzarci, di discutere, di festeggiare e di protestare.

Firma la petizione e mettiti in contatto se vuoi essere coinvolto.

I programmi di aiuto dell’UE esportano la sorveglianza

Oggi insieme a Privacy International (PI) e ad altre 13 organizzazioni della società civile europee e africane abbiamo chiesto urgenti riforme dei programmi di aiuto e cooperazione dell’UE per garantire che questi promuovano la tutela della privacy nei Paesi terzi e non facilitino l’uso della sorveglianza che viola i diritti fondamentali.

Privacy International ha pubblicato centinaia di documenti ottenuti dopo un anno di negoziati con gli organismi dell’Unione europea in base alle leggi previste sull’accesso ai documenti FOIA. I report e i documenti ottenuti mostrano che:

  • le forze di polizia e le agenzie di sicurezza in Africa e nei Balcani sono addestrate, con il supporto dell’UE, a spiare gli utenti di Internet e dei social media e a utilizzare tecniche e strumenti di sorveglianza controversi; Leggi il rapporto di PI qui.
  • gli organismi dell’UE stanno formando e dotando le autorità di frontiera e chi si occupa di migrazione nei paesi terzi di strumenti di sorveglianza, compresi i sistemi di intercettazione e altri strumenti di sorveglianza telefonica, nel tentativo di “esternalizzare” i controlli alle frontiere dell’UE; Leggi il rapporto di PI qui.
  • Civipol, una società di sicurezza francese con ottimi collegamenti nel settore, sta sviluppando sistemi biometrici di massa con fondi di aiuto dell’UE in Africa occidentale per fermare la migrazione e facilitare le deportazioni, tutto questo senza adeguate valutazioni del rischio. Leggi il rapporto di PI qui.

Per questi motivi, chiediamo alla Commissione Europea di fermare la questa deviazione dei fondi per gli aiuti, di mettere in atto rigorose procedure di due diligence e di valutazione del rischio, e di accettare misure sulla trasparenza, il controllo parlamentare e controllo pubblico volte a proteggere i diritti umani nei paesi terzi.

Qui è possibile consultare la lettera inviata: versione in inglese.

Per maggiori informazioni, consultare il sito di Privacy International.

ANAC e Hermes Center risolvono una controversia sull’applicazione della licenza AGPL al software OpenWhistleblowing

L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e il Centro Hermes per la Trasparenza ed i Diritti Umani Digitali comunicano con reciproca soddisfazione di aver risolto amichevolmente una controversia giudiziale) circa l’applicazione della licenza GNU AGPL versione 3 al software per la gestione delle segnalazioni di illeciti OpenWhistleblowing, messo a disposizione delle amministrazioni pubbliche da ANAC, edizione derivata dalla soluzione GlobaLeaks 2.60.144 di Hermes.

Le parti hanno concordato alcune modifiche al codice e alla licenza d’uso adottata da ANAC, che hanno consentito il ripristino dell’aderenza alla licenza AGPLv3 e il rispetto delle condizioni apposte da Hermes al proprio codice per concederne la licenza d’uso pubblica e gratuita.

Hermes, titolare dei diritti economici sul codice di GlobaLeaks, da cui OpenWhistleblowing è derivato, dichiara dunque pubblicamente che la licenza GNU AGPLv3 viene contestualmente ripristinata appieno e che ANAC è licenziataria di pieni diritti secondo la medesima licenza pubblica.

Coloro che avessero scaricato, utilizzato e modificato OpenWhistleblowing a partire dalla versione originariamente pubblicata da ANAC sono invitati ad adeguare in tempi ragionevoli la propria versione alle modifiche effettuate da ANAC contestualmente alla pubblicazione del presente Comunicato, dal momento che il permesso degli autori del software è condizionato al rispetto della licenza AGPLv3 negli esatti termini pubblicati da Hermes e ANAC, e dunque non è possibile avvalersi della licenza EUPL, né della licenza AGPL v.3 senza le ulteriori integrazioni previste.

ANAC e Hermes Center si dichiarano liete dello spirito di collaborazione con cui si è pervenuti alla composizione delle differenti posizioni nell’interesse della collettività e della protezione di coloro che segnalano irregolarità nel settore pubblico, ringraziando l’opera dell’Avvocatura dello Stato e dei difensori che hanno prestato la loro assistenza con competenza e dedizione e hanno collaborato ad appianare le divergenze.

Dichiarazione congiunta della società civile: Gli Stati che utilizzano le tecnologie di sorveglianza digitale per combattere la pandemia devono rispettare i diritti umani

La pandemia COVID-19 è un’emergenza sanitaria pubblica globale che richiede una risposta coordinata e su larga scala da parte dei governi di tutto il mondo. Tuttavia, gli sforzi degli Stati per contenere il virus non devono essere usati come copertura per inaugurare una nuova era di diffusi sistemi di sorveglianza digitale invasiva.

Noi, le organizzazioni firmatarie, esortiamo i governi a dare prova di leadership nell’affrontare la pandemia in modo da garantire che l’uso delle tecnologie digitali per tracciare e monitorare gli individui e le popolazioni sia effettuato nel rigoroso rispetto dei diritti umani.

La tecnologia può e deve svolgere un ruolo importante in questo sforzo per salvare vite umane, ad esempio per diffondere messaggi di salute pubblica e aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria. Tuttavia, un aumento dei poteri di sorveglianza digitale dello Stato, come l’accesso ai dati di localizzazione dei telefoni cellulari, minaccia la privacy, la libertà di espressione e la libertà di associazione, in modi che potrebbero violare i diritti e degradare la fiducia nelle autorità pubbliche – minando l’efficacia di qualsiasi risposta di salute pubblica. Tali misure comportano anche un rischio di discriminazione e possono danneggiare in modo sproporzionato le comunità già emarginate.

Sono tempi fuori dall’ordinario, ma le leggi sui diritti umani sono ancora in vigore. Infatti, il quadro dei diritti umani è stato progettato per garantire che i diversi diritti possano essere attentamente bilanciati per proteggere gli individui e le società in generale. Gli Stati non possono semplicemente ignorare diritti come la privacy e la libertà di espressione in nome di una crisi sanitaria pubblica. Al contrario, la protezione dei diritti umani promuove anche la salute pubblica. Ora più che mai, i governi devono garantire rigorosamente che qualsiasi restrizione a questi diritti sia in linea con le salvaguardie dei diritti umani stabilite da tempo.

Questa crisi offre l’opportunità di dimostrare la nostra umanità condivisa. Possiamo compiere sforzi straordinari per combattere questa pandemia che siano coerenti con gli standard dei diritti umani e con lo stato di diritto. Le decisioni che i governi prendono ora per affrontare la pandemia daranno forma al mondo del futuro.

Qui potete leggere le misure che, insieme ad oltre 100 organizzazioni della società civile, chiediamo siano rispettate dagli Stati quando valutano soluzioni di sorveglianza digitale per contrastare il COVID-19.

Il testo della dichiarazione è disponibile anche in inglese, francese, e spagnolo.

 

 

Lettera aperta: la società civile esorta gli Stati membri a rispettare i principi di legge nel regolamento online sui contenuti terroristici

Il 27 marzo 2020, il Centro Hermes ha firmato insieme ad altre 16 organizzazioni e ad EDRi una lettera aperta inviata ai rappresentanti degli Stati membri in seno al Consiglio dell’Unione Europea. Nella lettera, esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la proposta di legge sulla regolamentazione dei contenuti terroristici online e di quelle che consideriamo potenziali minacce ai diritti fondamentali della privacy, della libertà di espressione, e chiedere di astenersi dall’adottare filtri di upload obbligatori e garantire che le eccezioni per determinate forme di espressione protette, come materiale didattico, giornalistico e di ricerca, siano mantenute nella proposta.

Qui è disponibile la lettera in in lingua inglese.